Per innestare nell’ecosistema dell’engagement e della fedeltà un modello capace di azionare una loyalty predittiva, è necessario integrare dati, processi e persone. In questo modo è possibile attivare un loyalty system AI-powered, potenziato e personalizzato, che consente ai brand di anticipare bisogni, decisioni e comportamenti delle persone in modo continuo. Le Synthetic Loyalty Personas diventano il motore dell’evoluzione: profili dinamici che traducono la conoscenza in capacità di previsione e rendono ogni relazione più intelligente, mirata e contestuale. Questa forma di intelligenza orchestrata permette di far evolvere la loyalty da sistema transazionale reattivo a sistema relazionale adattivo.
Da tempo i brand utilizzano modelli predittivi, analisi di churn, clusterizzazione comportamentale o modelli di propensione all’acquisto. Il valore di questo approccio non è tanto tecnologico quanto organizzativo. Portare l’AI dentro i processi decisionali e trasformarla da strumento di analisi a leva di governo della relazione serve a colmare il divario tra priorità strategica e capacità operativa. Ma ad oggi la transizione non è ancora avvenuta.
Gli analisti sottolineano come il 77% dei brand B2C e il 67% dei brand B2B dichiarino che la fidelizzazione del cliente ha assunto maggiore importanza rispetto a cinque anni fa, ma solo il 30% dispone di una funzione specifica dedicata alla loyalty. Nel B2C, il 71% delle aziende ha un programma di fidelizzazione attivo e il 68% calcola un ROI effettivo sulle iniziative di loyalty (+20 punti rispetto al 2024). Nel B2B, invece, solo il 33% dispone di un programma strutturato e una quota ancora marginale misura in modo sistematico i ritorni economici (Fonte: “Visioni e strategie per una nuova loyalty” – Osservatorio Fedeltà, Università di Parma, ottobre 2025).

I dati raccontano un’evoluzione in corso ma ancora incompleta dei brand italiani rispetto al tema della loyalty. Se è vero che la fedeltà sta diventando una leva sempre più strategica, la sua gestione resta frammentata. In generale, le imprese si stanno muovendo lungo due direzioni parallele: da un lato cercano strumenti più avanzati per misurare la relazione, dall’altro faticano a tradurre la priorità relazionale in processi integrati e decisioni guidate dai dati. Questo significa che, pur restando in molti casi confinata a una logica tattica o di marketing operation, la loyalty sta iniziando a configurarsi come un sistema in trasformazione, che richiede nuove competenze, nuove metriche e un diverso equilibrio tra tecnologia e governance.
La priorità cresce, ma la governance resta fragile
Anche se la loyalty sta diventando un focus strategico nella maggior parte delle aziende manca ancora una regia chiara e riconosciuta. Secondo i dati dell’Osservatorio Fedeltà 2025, mentre cresce la consapevolezza del valore relazionale tra brand e persone, la governance della fedeltà resta diffusa e poco strutturata: solo un terzo dei brand dispone di un presidio dedicato e appena il 15% ha integrato realmente l’AI nei propri programmi di loyalty. Questo scarto evidenzia un punto critico: le imprese stanno imparando a misurare il valore della relazione, ma non possiedono ancora i modelli predittivi necessari per anticipare variazioni di comportamento, rischio di churn o opportunità di ingaggio. La conseguenza è che la maggior parte dei programmi resta confinata in logiche di misurazione ex post, prive della capacità di apprendere e reagire in tempo reale.
Dalla fedeltà statistica alla fedeltà predittiva
La loyalty predittiva rappresenta un punto di svolta perché supera la logica statistica dei programmi tradizionali. Non si limita più a misurare transazioni, redemption o frequenze d’acquisto, ma collega i dati al contesto, trasformando ogni interazione in un segnale decisionale. In questo nuovo scenario, il valore non risiede solo nell’analisi retrospettiva, ma nella capacità di anticipare l’evoluzione del comportamento e di adattare in tempo reale la relazione.
Parlare di fedeltà intelligente significa far dialogare le variabili economiche con quelle esperienziali, integrare i dati transazionali con quelli emozionali e far emergere nuovi livelli di insight. È un salto di paradigma che trasforma i KPI: dal tasso di retention alla probabilità di scelta, dalla redemption alla propensione di una persona a restare con il brand nel tempo. In questo modello, l’AI non è un layer aggiuntivo, ma un motore di orchestrazione che collega insight, decisioni e azioni in un ciclo continuo di apprendimento.
La loyalty predittiva non sostituisce le competenze umane, le amplifica – spiega Federico Rocco, CEO di Kettydo (a DGS Company) -. L’intelligenza artificiale diventa la struttura che consente di scalare la conoscenza, di correlare segnali dispersi e di generare contesto, permettendo ai brand di riconoscere pattern invisibili e di reagire prima che l’utente compia la sua scelta. È qui che la fedeltà evolve da misura di performance a sistema adattivo di relazione, in grado di combinare precisione algoritmica e intelligenza umana. La loyalty predittiva si fonda su un principio chiaro: la qualità dei dati conta più della quantità. Ma la qualità non è un attributo tecnico, è una questione di cultura. Saper raccogliere, normalizzare e attivare le informazioni in modo coerente lungo tutto il ciclo di vita del cliente è la condizione necessaria perché l’intelligenza artificiale possa funzionare”.
Nei fatti, senza una visione unitaria e condivisa, i dati restano frammentati tra CRM, sistemi di automazione e piattaforme analitiche che non dialogano. L’AI, invece, ha bisogno di un ciclo chiuso di conoscenza, dove ogni informazione alimenta la successiva e ogni decisione produce nuovi insight. È qui che la governance dei processi incontra la cultura del dato.
Come e perché l’AI va innestata nei processi
In molte aziende l’intelligenza artificiale è ancora in una fase tra la sperimentazione e i proof of concept. La differenza è sostanziale: finché l’AI è confinata a PoC o use case isolati, produce analisi; quando entra nei processi, abilita decisioni. Portarla dentro significa trasformarla da funzione di calcolo a leva di governo della relazione, capace di orientare segmentazione, personalizzazione, priorità di contatto, soglie di incentivo e timing delle azioni in tempo quasi reale.

Questo spostamento non è una questione di tool, ma di maturità organizzativa. Richiede una cultura del dato condivisa, una governance solida e una regia interfunzionale che allinei marketing, IT e operation su metriche e obiettivi comuni. È qui che il pensiero si fa organizzazione.
La sfida non sta solo nell’adottare e internalizzare nuovi modelli o algoritmi, ma ancor prima nel riuscire a portarli adeguatamente dentro ai processi e alla cultura aziendale – Luca Lanza, Partner & Consultancy Practice Director @Kettydo (a DGS Company) -. La vera rivoluzione non è tecnologica. È organizzativa: far salire l’intelligenza artificiale dal laboratorio al tavolo dove si prendono le decisioni che contano. Di AI si parla tanto, forse troppo, e spesso in modo astratto, ma la differenza non la fa chi costruisce nuovi modelli, bensì chi riesce a usarli per decidere. Non basta sperimentare: serve un’infrastruttura che renda l’intelligenza artificiale parte del lavoro quotidiano, collegandola alle metriche, alle responsabilità e agli obiettivi di business. Quando l’AI entra nei processi, diventa una leva di governo reale, capace di dare continuità tra dato, insight e azione. È questo il passaggio che trasforma la tecnologia in metodo e la conoscenza in valore operativo”.
Dati e personas: il cuore predittivo della relazione
L’intelligenza artificiale diventa davvero trasformativa solo quando incontra il dato giusto e lo traduce in conoscenza attivabile. Il profile enrichment rappresenta il passaggio chiave di questa evoluzione: consente di arricchire e normalizzare i profili utente, unendo informazioni provenienti da CRM, piattaforme di marketing automation, survey e sistemi di engagement. Questo processo permette di superare la frammentazione e di costruire una visione coerente del cliente, in cui ogni dato contribuisce ad alimentare un ciclo continuo di conoscenza.
Su queste basi prendono forma le Synthetic Loyalty Personas, profili dinamici che non descrivono solo ciò che le persone fanno, ma ciò che sono propense a decidere. Veri e propri gemelli digitali sintetici, queste entità diventano modelli operativi che evolvono con i dati. La loro costruzione parte da un profilo arricchito – anagrafica, storico transazionale, journey digitale e fisica, contesto geolocal, preferenze e consensi – e prosegue con un feature engineering mirato (recency/frequency/value, sensibilità al prezzo, affinità di contenuto, probabilità di canale, segnali di churn o di up/cross-sell). Su questo spazio di variabili si applicano scoring dinamici (propensione, rischio, valore atteso, prossima migliore azione) che aggiornano costantemente lo stato della persona tramite un feature store condiviso.
Le personas diventano così entità comportamentali: assorbono nuovi segnali, ricalibrano la propria intenzione probabile e restituiscono output utilizzabili dai sistemi di orchestrazione: dalla priorità di contatto al messaggio, dal canale al timing – aggiunge Lanza -. Ogni azione genera un feedback loop che alimenta un ciclo di apprendimento continuo: il modello confronta previsione e risultato, corregge gli errori, aggiorna pesi e soglie. È in questo passaggio che l’intelligenza artificiale smette di essere una tecnologia di analisi e diventa una struttura viva di decisione, capace di unire dati, insight e azione. Solo allora la loyalty evolve da processo di misurazione a sistema adattivo di relazione, in grado di apprendere e migliorare a ogni interazione”.
Questo approccio consente due salti di qualità:
- dalla descrizione alla previsione applicata, con KPI che evolvono dalla redemption ex post all’uplift atteso, al CLV incrementale e alla riduzione del rischio di abbandono
- dalla campagna al test predittivo, grazie a personas sintetiche rese agentiche da AI generativa controllata, capaci di simulare scenari – pressione promozionale, mix di canali, nuove meccaniche di ingaggio – prima del go-live, stimando impatti, trade-off e impostando guardrail di coerenza (frequenza, limiti di sconto, rispetto dei consensi)
Il risultato è una conoscenza attivabile, in grado di restituire ai brand la capacità di decidere e di personalizzare con intelligenza: non solo cosa è successo o cosa potrebbe piacere, ma cosa è probabile che accada e quale azione conviene intraprendere ora, nel canale giusto e con l’intensità giusta. È questo passaggio che trasforma le personas in motori di regia della relazione e la loyalty in un sistema adattivo capace di apprendere, reagire e migliorare a ogni interazione.
L’AI non è neutrale: la consapevolezza come nuova frontiera dell’innovazione
L’intelligenza artificiale è entrata ovunque, ma troppo spesso la si considera un alleato neutrale: un motore di efficienza capace di automatizzare processi, personalizzare esperienze, migliorare performance. In realtà, la neutralità non esiste più. Rispetto alla indiscussa portata dell’innovazione, convivono ecosistemi geopolitici diversi che riflettono tre visioni del mondo. In questo scenario, la consapevolezza tecnologica deve diventare parte della cultura aziendale, perché scegliere un modello non significa solo scegliere una piattaforma, ma una visione.
Ci siamo abituati a pensare all’AI come a un alleato neutrale – conclude Rocco -. Ma la neutralità, nel 2025, non esiste più. Negli Stati Uniti i modelli sono sviluppati da colossi privati e rispondono a logiche di mercato; la Cina costruisce un ecosistema regolato dallo Stato; l’Europa prova a imporre principi di trasparenza con l’AI Act, ma senza infrastrutture proprietarie. La tecnologia utilizzata per creare contenuti, profilare clienti o automatizzare le campagne riflette interessi, leggi e valori di chi l’ha progettata. Non si tratta quindi solo di selezionare un fornitore o una suite tecnologica, ma di aderire a una visione del mondo. Perché un modello che discrimina nei dati, lo farà anche nelle strategie. E quando un modello non è neutrale, può distorcere dati, previsioni o personalizzazioni. E non si compromette solo una campagna: si compromette la relazione. Il marketing del futuro non sarà più soltanto data-driven, ma geopolitically-aware. Comprendere il contesto in cui vive la tecnologia sarà tanto importante quanto comprendere il comportamento del cliente. Perché un brand può essere globale solo se mantiene consapevolezza di dove nascono i suoi algoritmi. La vera innovazione della loyalty predittiva non risiede nello strumento adottato, ma nella visione con cui viene utilizzato”.
L’intelligenza applicata ai comportamenti
La loyalty predittiva trova oggi applicazione in ambiti sempre più mirati: nel B2C attraverso recommendation system, personalizzazione predittiva, pricing automation e orchestrazione multicanale; nel B2B grazie a modelli di lead scoring, churn prediction e ottimizzazione delle journey. Ma la differenza non la fa la tecnologia, la fa la coerenza tra modello relazionale e identità del brand. L’obiettivo non è automatizzare l’interazione, ma aumentarne la qualità: comprendere non solo cosa i clienti fanno, ma perché lo fanno, e reagire di conseguenza con contenuti, premi e servizi che evolvono insieme alle persone.
L’approccio premiale non genera una loyalty autentica
Il paradigma della loyalty predittiva sposta l’attenzione dal dare punti al dare senso. Non si misura più soltanto la frequenza dell’acquisto, ma la coerenza dell’esperienza, la fiducia e il valore percepito nel tempo. Le aziende più avanzate stanno già muovendosi in questa direzione: secondo l’Osservatorio Fedeltà, il 90% dei brand ritiene che i programmi di fedeltà dovranno offrire servizi utili lungo tutta la journey del cliente, non solo incentivi all’acquisto. La fedeltà non è più un meccanismo di accumulo, ma un processo di conoscenza condivisa, dove i dati alimentano insight e gli insight guidano la strategia. In questa logica, la loyalty predittiva diventa la naturale evoluzione del marketing relazionale: un sistema che anticipa bisogni, riconosce segnali deboli e adatta i comportamenti aziendali in tempo reale. Gli analisti dell’OF evidenziano come l’AI è integrata solo nel 15% dei programmi italiani contro il 37% del benchmark internazionale. Un dato che fa pensare in termini di competitività: oggi serve una visione capace di unire dati, metodo e persone in un unico ecosistema operativo.
L’ecosistema della loyalty predittiva
Ed è in questa direzione che YouserEngage trova la sua espressione: una piattaforma che integra la conoscenza dei dati, l’intelligenza delle personas e la capacità di attivazione, per costruire strategie di loyalty predittiva realmente data-driven, capaci di generare valore misurabile e sostenibile nel tempo. Quando dati, AI e Synthetic Loyalty Personas lavorano insieme, la fedeltà smette di essere un obiettivo e diventa una conseguenza naturale di una conoscenza più profonda e consapevole. È questa la nuova forma di intelligenza relazionale che unisce tecnologia, cultura e visione, trasformando ogni interazione in valore per entrambi: brand e persona lungo tutta la journey.
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Kettydo+ mette a sistema competenza strategica e tecnologica, coniugando Design Thinking e Service Design per guidare le organizzazioni attraverso una fase di co-creazione e progettazione finalizzata a attrarre, ingaggiare, connettere e fidelizzare in modalità continua e duratura. Triangolando consulenza, esperienza e competenza tecnica e operativa, Kettydo+ ha definito un approccio metodologico multidimensionale e data driven all’engagement e alla loyalty anche in virtù dello sviluppo di una innovativa Martech Platform proprietaria, costituita da una suite di moduli diversificati che possono essere usati singolarmente o in base a dei cluster funzionali. Kettydo+ è un partner che garantisce un approccio innovativo, personalizzato ed end-to-end alla gestione della profilazione delle Loyalty Personas (utenti, consumatori, acquirenti, clienti fidelizzati) garantendo la definizione di journey di qualità e la rilevanza delle esperienze, lavorando su valori e trigger che trasformano la soddisfazione in fidelizzazione, accorciando i tempi di rilascio e massimizzando gli investimenti.