Redazione Kettydo
Consumer Engagement

Customer engagement: non per farsi notare ma per meritare di essere ricordati

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Consumer Engagement

Il customer engagement è sia un progetto che un processo strategico attraverso cui un brand costruisce e alimenta una relazione di valore con le persone nel tempo. Parlare di progetto significa evocare un atto intenzionale, guidato da una visione chiara e da obiettivi definiti. Parlare di processo significa riconoscere che questa visione prende forma nel tempo, attraverso un insieme coerente di azioni che si adattano, si rinnovano e si rafforzano nella quotidianità della relazione. L’unione di questi due livelli – strategico e operativo – è determinante per attivare una forma di engagement che sia autentica, rilevante e sostenibile. Il focus dell’engagement è la loyalty: non è di pianificare iniziative, ma di coltivare connessioni durature.

Dal punto di vista operativo, il customer engagement è il motore che tiene viva e fa evolvere la Loyalty, che rimane il cuore pulsante del rapporto che lega una marca alle persone. Senza un coinvolgimento autentico e continuativo, infatti, la fedeltà non può esistere né radicarsi davvero. In questo senso, Loyalty ed engagement formano un binomio indissolubile: la Loyalty è il purpose, la visione strategica e relazionale di lungo periodo, mentre l’engagement è ciò che la nutre giorno dopo giorno, attraverso un processo dinamico e concreto. Ma se l’engagement è ciò che tiene viva la relazione, allora dobbiamo chiederci: cosa rende possibile questa connessione? Qual è la materia prima con cui si costruisce e si rinnova ogni giorno? La risposta è l’attenzione. Ed è proprio qui che inizia la sfida più sottile e complessa del nostro tempo.

L’attenzione è una risorsa sempre più fragile e frammentata

Viviamo un’epoca in cui l’attenzione delle persone è diventata una risorsa estremamente rara e contesa. È un’attenzione fragile e frammentata, dispersa tra una moltitudine di stimoli che ogni giorno si fanno strada per conquistarsi anche solo un attimo nella mente delle persone. In questo scenario, riuscire a farsi notare può sembrare già un traguardo. Ma è un traguardo effimero. Perché oggi farsi notare non significa affatto aver conquistato qualcosa di solido. Significa semplicemente essersi guadagnati un frammento di spazio in un flusso continuo di contenuti, notifiche, messaggi e sollecitazioni che si accavallano senza tregua. Significa essere stati presenti per un istante in un feed o su uno schermo, ma senza alcuna garanzia di lasciare un segno che duri.

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La vera competizione si gioca nel tempo mentale

Ed è proprio questo che rende la sfida del customer engagement più complessa e strategica che mai. La competizione tra brand si è spostata in un territorio molto meno visibile ma decisivo: quello del tempo mentale. Non parliamo solo del tempo misurabile trascorso su un touchpoint, ma dello spazio che un brand riesce a occupare nella memoria e nella narrazione personale delle persone. Uno spazio fatto di ricordi, connessioni emotive e rilevanza percepita, che ha il potere di orientare le scelte in modo profondo e duraturo. È qui che emerge la vera posta in gioco. Perché il punto non è semplicemente attirare l’attenzione. È riuscire a meritare di essere ricordati. Conquistare un posto stabile nella mente delle persone, continuando a vivere nella loro storia anche quando non ci stanno guardando.

Oltre le metriche superficiali: l’errore di ridurre l’engagement a click e visualizzazioni

Eppure, nonostante questa natura profondamente qualitativa e relazionale, il customer engagement viene ancora troppo spesso appiattito su una dimensione puramente quantitativa. In molte aziende, engagement significa ancora contare click, visualizzazioni, tempo medio speso su una pagina o interazioni social. Sono indicatori utili per monitorare l’operatività, ma diventano fuorvianti quando vengono presi come metro esclusivo per valutare la solidità della relazione con le persone. Questo approccio porta a un grande fraintendimento: confondere il semplice consumo di contenuti con la costruzione di un legame vero. Perché la vera domanda non è quanto tempo una persona ha dedicato a un contenuto o quante volte ha visualizzato un post, ma quanto quel contenuto, quell’esperienza o quell’interazione hanno lasciato un segno. Quanto sono riusciti a radicarsi nella memoria, a orientare una scelta futura, a trasformarsi in racconto spontaneo o raccomandazione. In altre parole: quanto hanno alimentato quel tempo mentale che oggi rappresenta la vera frontiera del valore per i brand.

Una risorsa limitata, distribuita in modo disomogeneo tra le generazioni

L’attenzione, come qualsiasi bene scarso, si distribuisce in modo selettivo e non uniforme tra le generazioni. Secondo le analisi di McKinsey, il quadro che emerge è di una differenza strutturale nei modelli di fruizione:

  • I baby boomer, pur adottando pratiche digitali (due terzi di loro navigano in rete o usano app mentre guardano la TV), tendono a conservare un approccio ancora relativamente lineare ai contenuti: dedicano più tempo continuativo a un singolo medium, con una minore propensione a passare rapidamente da un contenuto o dispositivo all’altro.
  • Al contrario, le generazioni più giovani — millennials e Gen Z — vivono un rapporto decisamente più iper-frammentato e simultaneo con i contenuti. Nell’arco della stessa giornata, e spesso nello stesso momento, distribuiscono la propria attenzione su una molteplicità di piattaforme, formati e device. Questo significa passare, anche in pochi minuti, da un video a una chat, da una story a un brano musicale, da un feed social a un gioco, costruendo una sequenza di micro-interazioni che si sovrappongono e si interrompono di continuo.

Questo schema ha implicazioni importanti: riduce la continuità dell’esposizione e quindi il tempo in cui un singolo contenuto può ambire a monopolizzare l’attenzione. Ma frammenta anche il contesto cognitivo ed emotivo in cui il messaggio viene recepito. Per queste generazioni, la disponibilità di attenzione non è solo un bene limitato: è anche spezzettata in una moltitudine di micro-slot, di qualità variabile, dove i brand devono competere con qualsiasi altro stimolo che possa intercettare interesse in quell’istante.

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La fruizione multipla e il valore dell’attenzione dispersa

La moltiplicazione dei dispositivi e la normalizzazione del multiscreening hanno trasformato l’esperienza mediale in un flusso simultaneo e parcellizzato. Oggi la maggior parte dei consumatori utilizza più schermi contemporaneamente: naviga, chatta o scorre i social mentre guarda la TV o ascolta musica. Negli Stati Uniti, il tempo totale trascorso quotidianamente a interagire con contenuti digitali ha raggiunto una media di 13 ore. Ma queste ore non equivalgono a un’attenzione esclusiva: la sovrapposizione di stimoli riduce la profondità del focus su ogni singolo contenuto. Dunque, non deve sorprendere che i ricavi complessivi dei media, depurati dall’inflazione, siano rimasti sostanzialmente piatti negli ultimi anni, nonostante l’esplosione dei consumi su piattaforme digitali, social e audio streaming. Secondo McKinsey, un’ora trascorsa a guardare sport dal vivo genera in media 33 dollari, mentre un’ora dedicata alla musica digitale vale appena 0,12 dollari, e un’ora di podcast 0,05 dollari (Fonte: “The Attention Equation – Winning the right battles for customer attention”, McKinsey 2025). Una differenza che dimostra come non tutte le ore siano uguali. Cosa se ne deduce? Che un’economia dell’attenzione iper-frammentata, non basta farsi vedere. Occorre meritarsi uno spazio nel cuore e nella mente delle persone ripensando il customer engagement per progettare esperienze che:

  • generano un’attenzione di qualità
  • coinvolgono a livello umano 
  • trasformano micro-momenti in legami duraturi

Non basta occupare tempo: serve conquistare un’attenzione che lasci il segno

In un contesto dominato da abbondanza, distrazione e multitasking, non è più sufficiente presidiare spazi o accumulare tempo di visione: serve meritarsi un’attenzione che abbia un significato autentico, radicata in un interesse reale.

Il marketing, nella sua evoluzione, ha sempre vissuto di misurazione: CTR, CAC, CLV… Oggi, con l’AI che ottimizza ogni campagna e i dati che tracciano ogni gesto, siamo ossessionati più che mai dal comportamento — osserva Federico Rocco, CEO di Kettydo (a DGS Company) -. Tuttavia, c’è una cosa che ancora non misuriamo: il tempo mentale. Il tempo mentale non è quanto tempo il cliente passa su un touchpoint. È quanto l’utente ti porta con sé, quanto ti ricorda anche quando non ci sei. Per questo occorre smettere di ottimizzare solo per l’algoritmo e iniziare a progettare narrazioni che restano, esperienze che meritano di essere ricordate, missioni di valore e micro-interazioni che non si limitano a funzionare, ma risuonano nel tempo. Significa ragionare su come costruire un customer engagement che abbia un impatto vero a livello umano. Creare una comunicazione che lasci un segno nella memoria. Perché la nuova competizione si giocherà in una dimensione invisibile: il tempo mentale che le persone sono disposte a dedicarti, anche quando non ti vedono”.

Come progettare esperienze memorabili

Guadagnarsi tempo mentale significa prima di tutto meritarsi l’attenzione, non comprarla. Significa progettare contenuti, interazioni e micro-esperienze che non si limitano a occupare un istante, ma riescono a sedimentare, a radicarsi nella memoria. Esperienze che siano davvero degne di essere ricordate, e quindi di orientare scelte future, raccomandazioni e nuovi comportamenti.

  • Narrazioni che restano

Occorre raccontare storie capaci di toccare corde più profonde, di creare associazioni emotive e culturali che emergono anche a distanza di tempo. Un like dura un secondo, ma un ricordo può lavorare per te per mesi.

  • Esperienze memorabili

Le dinamiche di engagement, le missioni di valore, i piccoli momenti di gamification devono andare oltre la semplice funzionalità. Devono far dire alle persone: “ne è valsa la pena”. Perché solo ciò che lascia una traccia emotiva o simbolica ha la forza di consolidare un legame.

  • Design narrativi

Ogni touchpoint è un frammento di un racconto più ampio. Progettare per il tempo mentale significa chiedersi: “Fra una settimana, fra un mese, cosa resterà di questa esperienza nella memoria di chi l’ha vissuta?”

Dal customer engagement alla cultura relazionale di marca

Ripensare il customer engagement in questa prospettiva significa andare oltre le logiche tradizionali di marketing, che puntano a stimolare comportamenti transazionali o a massimizzare metriche di breve periodo. Significa evolvere verso un approccio che vede nella relazione stessa — costruita con coerenza, ascolto e partecipazione — il vero vantaggio competitivo di lungo termine. Non si tratta più solo di conquistare clienti fedeli a un programma o a un incentivo. Si tratta di diventare un brand capace di costruire un ecosistema di valore condiviso, dove ogni esperienza, contenuto o servizio alimenta un legame basato sulla reciprocità, sul riconoscimento e sulla rilevanza personale. È questa la vera trasformazione: non limitarsi a presidiare touchpoint o a sommare interazioni, ma creare le condizioni perché le persone scelgano di includere il brand nel proprio vissuto. Perché quando un brand diventa parte di una storia personale, di una memoria che riaffiora spontanea, allora non parliamo più solo di fedeltà: parliamo di appartenenza. Ed è questo, alla fine, il cambio di mindset più radicale: passare dal voler catturare attenzione al meritarsi di essere ricordati. Anche quando le persone non ti stanno guardando.

Abbiamo visto brand con reach modeste ottenere +42% di brand recall dopo 14 giorni e +31% di raccomandazione spontanea a un amico – prosegue Rocco -. Questo perché non hanno inseguito l’attenzione: se la sono meritata. Il prossimo grande KPI sarà proprio questo: quanta porzione di tempo mentale riesci a guadagnarti nella vita del tuo cliente. Ed è proprio lì, in questa dimensione discreta e invisibile, che si decideranno le alleanze più autentiche tra brand e persone. Quelle che non si esauriscono in una campagna o in una promozione, ma diventano una parte viva del modo in cui le persone raccontano se stesse e fanno scelte che durano. E in un mercato sempre più esposto a volatilità e comparazione di prezzo, è proprio questo capitale relazionale a rappresentare la forma più sostenibile e meno replicabile di vantaggio competitivo. Per questo, oggi ripensare il customer engagement non è solo un’esigenza competitiva, ma la chiave di un loyalty marketing capace di costruire legami di valore che durano nel tempo».

 

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Kettydo+ mette a sistema competenza strategica e tecnologica, coniugando Design Thinking e Service Design per guidare le organizzazioni attraverso una fase di co-creazione e progettazione finalizzata a attrarre, ingaggiare, connettere e fidelizzare in modalità continua e duratura. Triangolando consulenza, esperienza e competenza tecnica e operativa, Kettydo+ ha definito un approccio metodologico multidimensionale e data driven all’engagement e alla loyalty anche in virtù dello sviluppo di una innovativa Martech Platform proprietaria, costituita da una suite di moduli diversificati che possono essere usati singolarmente o in base a dei cluster funzionali. Kettydo+ è un partner che garantisce un approccio innovativo, personalizzato ed end-to-end alla gestione della profilazione delle Loyalty Personas (utenti, consumatori, acquirenti, clienti fidelizzati) garantendo la definizione di journey di qualità e la rilevanza delle esperienze, lavorando su valori e trigger che trasformano la soddisfazione in fidelizzazione, accorciando i tempi di rilascio e massimizzando gli investimenti.

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