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Zero Party Data nell’era post cookie: cosa sono e perché creano valore nelle relazioni

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Zero Party Data, il nuovo approccio strategico ai dati più preziosi: quelli forniti direttamente dai clienti. Questo tipo di informazioni, basate su una gestione più trasparente, intelligente e rilevante dei consensi, inaugura una nuova era post cookie. Gli ZPD, infatti, sono informazioni puntuali e personali che le persone condividono intenzionalmente con i brand sapendo di ricevere un valore di ritorno in termini di prodotto, di contenuto o di servizio. È così che i brand abilitano una forma engagement ad alto tasso di fidelizzazione.

Come e perché oggi si parla di Zero Party Data

Da una produzione di massa a una personalizzazione di massa oggi le aziende si trovano di fronte all’ennesimo passaggio epocale. Che si voglia chiamarlo precision marketing, one to one marketing, permission marketing o consent marketing, l’obiettivo è lo stesso: fare in modo che i clienti condividano le proprie informazioni per poter garantire loro esperienze massimamente personalizzate, contestuali e rilevanti. Gli Zero Party Data, dunque, sono l’ultima frontiera del marketing data driven. A raccontarli per prima è stata Forrester:

 

Gli Zero Party Data sono come oro – spiega Fatemeh Khatibloo, VP principal analyst di Forrester – in quanto sono quelli che un cliente condivide intenzionalmente, esplicitamente e proattivamente con un brand. Questo tipo di informazioni possono includere intenzioni di acquisto così come motivazioni anche più personali. Quando un cliente si fida di un marchio abbastanza da fornire i suoi dati più significativi, l’azienda non deve più spendersi per osservare o dedurre cosa voglia un cliente o quali siano le sue intenzioni. È il cliente stesso a raccontarsi. Ed è disposto a farlo anche in maniera estremamente dettagliata”.

 

Third, Second, First e Zero Party Data: quali sono e a cosa servono

Prima di approfondire il tema degli Zero Party Data e dei vantaggi di una loro gestione strategica è opportuno conoscere la classificazione generale delle diverse tipologie di sorgente delle informazioni che un’azienda può raccogliere dalla propria audience.

 

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THIRD PARTY DATA: quali sono e che limiti hanno

I Third Party Data sono tutti quei dati raccolti da fornitori che non sono direttamente coinvolti nelle interazioni/transazioni tra un brand e un cliente. Si tratta di una combinazione di dati dedotti, dati osservati e dati forniti direttamente dagli utenti. I TDP dedotti sono spesso forniti o resi disponibili da data provider e possono includere dati socio-economici, come ad esempio il reddito. I Third Party Data osservati, invece, sono dati ricavati dall’utilizzo dei dispositivi mobile, televisori e altre set-top box che integrano alcune funzioni interattive che vengono tracciate implicitamente. I Third Party Data forniti dagli utenti infine riguardano le attività sui social media, informazioni demografiche, alcuni dati firmografici, indicazioni in merito alle propensioni all’acquisto come, ad esempio, l’interesse per una nuova casa o per un nuovo prodotto, nonché ulteriori informazioni ricavate dai sistemi CRM, POS o dai call center. La criticità di questo tipo di dato è la sua estrema volatilità, che lo rende spesso rapidamente obsoleto: le preferenze dei consumatori, i budget, le dimensioni delle famiglie e altri dati similari si evolvono nel tempo per cui diventano spesso inaffidabili e infruibili nel giro di poco tempo.

SECOND PARTY DATA: cosa sono e a cosa servono

I Second Party Data sono i dati originariamente raccolti da un’azienda che li condivide con un’altra azienda. Si tratta essenzialmente di tutte le informazioni dei trading desk generate attraverso campagne e programmi sviluppati dai data provider in possesso di dati specifici di cui i brand hanno bisogno. Tra questi vanno annoverati, ad esempio, le informazioni relative alle preferenze di prodotto e/o di categoria oppure ricavate dall’uso dei cookie online.

FIRST PARTY DATA: in che modo sono rilevanti

I First Party Data sono i dati dei clienti raccolti in modo diretto da un’azienda e rappresentano indicatori preziosi rispetto agli interessi e alle intenzioni di un individuo. In un contesto di personalizzazione, questi dati sono strategici perché comprendono i comportamenti, le azioni o gli interessi di una persona mentre naviga un sito, una app o una landing page. Il che include anche i click effettuati e tutte le altre tipologie di interazione come, ad esempio, le modalità di scorrimento e il tempo attivo di permanenza su una web property, il percorso del mouse, così come il contesto della sessione o il modo in cui quella persona reagisce alle esperienze personalizzate. Rientrano in questa categoria anche i dati transazionali, come gli acquisti e i download effettuati.

ZERO PARTY DATA: cosa sono e perché sono i più importanti

Gli Zero Party Data sono i dati che le persone forniscono spontaneamente e consapevolmente a un’azienda. Si tratta di informazioni che un individuo condivide intenzionalmente e in modo proattivo con un marchio e possono includere dati relativi alle preferenze, alle intenzioni di acquisto nel breve, nel medio e nel lungo termine così come informazioni anche molto più personali in merito a desideri, aspirazioni e bisogni, fino ad arrivare al dettaglio del modo in cui il cliente vuole essere riconosciuto da un marchio.

 

Gli Zero-Party Data consentono alle aziende di non usare più congetture e inferenze, ottenendo le informazioni necessarie a stabilire una connessione di qualità con ogni cliente – sottolinea Federico Rocco CEO di Kettydo+ -. Progettando la corretta dinamica di ingaggio le persone costruiranno una relazione di qualità con le marche, raccontando loro quali prodotti desiderano, cosa cercano in un servizio e quali offerte li motivano di più all’acquisto. La creazione di un processo sistematico e continuativo per la raccolta di dati permette infatti di incrementare la fiducia dei consumatori, garantendo ai brand il loro coinvolgimento nel tempo. In una strategia di ingaggio­ funzionale, i clienti hanno massima fiducia in un’azienda e l’autorizzano a gestire non soltanto i loro dati sensibili ma anche a prendersi cura di loro attraverso diversi meccanismi di interazione (Approfondisci l’argomento).

 

 

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Nell’era della Privacy i cookie sono superati

GDPR e CCPA hanno cambiato le regole del marketing innalzando i livelli di tutela della privacy dei consumatori. Per ottemperare alle normative, sempre più browser stanno eliminando gradualmente l’uso dei cookie di terze parti, permettendo agli utenti di evitare di essere tracciati nei loro comportamenti. Questo è il motivo per cui i brand più lungimiranti puntano il loro radar sui dati che i clienti forniscono consapevolmente e volontariamente. Vero è che gli Zero Party Data impongono anche un maggior senso di responsabilità da parte dei brand: i consumatori, infatti, stanno diventando sempre più attenti e consapevoli rispetto ai temi legati alla gestione dei loro dati personali. Secondo gli analisti, sia nel 2019 che nel 2020 oltre 6 consumatori su 10 (63%) ha dichiarato che la maggior parte delle aziende non è trasparente rispetto all’uso che fa dei loro dati (Fonte: “The State of the Connected Customer 2020” – Report Salesforce). La gestione del consenso al trattamento dei dati personali non rappresenta quindi soltanto un asset di vantaggio per il brand, ma si basa sulla costruzione attenta e progressiva di un rapporto di fiducia che non va mai disatteso.

 

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Come e perché puntare al digital engagement balance

Se è vero che gli Zero Party Data sono più affidabili rispetto ad altre forme di dati, poiché provengono direttamente dall’utente, non significa necessariamente che tutte le persone condividano informazioni personali accurate. Ecco perché è fondamentale pianificare una corretta strategia di ingaggio (e di gestione) bilanciata.

 

È necessario istituire un principio di scambio che, per essere equo, si basi sulla creazione di valore reciproco per entrambe le parti: i consumatori da un lato e il brand dall’altro conclude Federico Rocco, CEO di Kettydo+ -. Se i dati ceduti da un cliente a un brand non vengono convertiti in un valore concreto per lui, si ha una crisi della fiducia. Viceversa, se a fronte dei dati ricevuti l’azienda non ne ricava un valore non c’è un ritorno economico.  Con gli Zero Party Data il cliente non ti dice cosa fa. Ti dice chi è. In un’ottica di arricchimento dei dati, la gestione degli ZPD permette di fare una profilazione estremamente più dettagliata e puntuale che permetta di costruire contenuti studiati sulle diverse buyer persona. È fondamentale quindi progettare dinamiche di ingaggio basate su uno storytelling personalizzato, contestuale e near real time all’insegna della trasparenza. Il cliente deve capire perché stiamo chiedendogli i suoi dati, come questi verranno utilizzati e che cosa gli sarà dato in cambio. Ma attenzione: oltre a risolvere la gestione dei consensi, è fondamentale misurare anche il valore dei dati raccolti e il valore generato dal meccanismo di ingaggio (contenuti, servizi e partnership). È così che i dati diventano azionabili e generano valore per tutti”.

Content personalization nell’era digitale

Gli Zero Party Data sono fondamentali al processo di raccolta e arricchimento delle informazioni relative a ogni consumatore ma le aziende devono adottare un approccio nuovo alla produzione dei contenuti che va di pari passo con la tecnologia: bisogna dare vita ad un processo di disegno del contenuto personalizzato, sapendo esattamente come idearlo e come declinarlo sui canali in cui verrà veicolato: DEM e newsletter, campagne Adwords, landing page, siti corporate, chatbot, whatsapp e via dicendo.

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Zero Party Data: ecco come si raccolgono

Le aziende che puntano a lavorare sugli Zero Party Data incoraggiano le persone a raccontare quali prodotti desiderano, cosa cercano in un servizio e cosa li motiva ad acquistare. Ingaggiare una persona a rispondere a un questionario, condividere una social story, partecipare a un sondaggio, un gioco, una survey o a una qualsiasi altra iniziativa che comporti la richiesta di una serie di informazioni personali, è un processo che per essere efficace va reso il più possibile esplicito. In altre parole, il brand chiede apertamente alla persona un’azione specifica promettendo di servirla con un’esperienza, un’offerta o un prodotto che siano più giusti per essa. A tale promessa deve far seguito un’azione corrispondente e pertinente, che offra uno scambio di valore tangibile. Se richiesti con parsimonia e applicati in modo strategico, questo tipo di dati può migliorare notevolmente il modo di comunicare e relazionarsi con i clienti. Ciò rappresenta per i brand un’opportunità unica, capace di massimizzare gli investimenti e di centrare gli obiettivi di business abilitando maggior tasso di conversione, maggiore fedeltà e maggiori vendite.

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